Binari di guerra a Monfalcone

 

Breve storia dei treni corazzati

Passata la tempesta napoleonica l’Europa visse quasi un secolo di relativa pace, interrotta solo da guerre locali e di breve durata. I piccoli eserciti delle grandi potenze europee erano stanziati nei rispettivi territori d’oltremare, per accrescere e mantenere pacifici i possedimenti coloniali. In campagne militari che somigliavano più a delle grosse operazioni di polizia, contro i cosiddetti “selvaggi” venivano utilizzate tutte le novità tecnologiche che in una guerra contro altri popoli “civili” non sarebbero state considerate “cavalleresche”.
La guerra civile nordamericana fu la prima guerra veramente “moderna”, considerando la sua durata, il numero degli uomini chiamati alle armi, la quantità delle perdite, l’impegno finanziario delle parti in lotta e le distruzioni provocate dagli scontri. Tutta la potenza industriale e tecnologica delle due parti del paese venne messa al servizio dei contendenti: furono prodotte nuove armi sempre più efficaci, cannoni sempre più numerosi e più grandi, montati anche su battelli corazzati. Ma il più grande impulso lo ricevettero i treni che, utilizzando il grande sviluppo delle linee ferroviarie nordamericane, potevano seguire con i rifornimenti i veloci spostamenti delle armate degli eserciti contrapposti. In Europa si fece subito tesoro della lezione del conflitto americano: vennero perfezionate le armi automatiche e costruite nuove linee ferroviarie, studiate per aumentare i traffici ed i commerci, ma principalmente per il controllo strategico del territorio.
Soprattutto oltremare, in caso di necessità il materiale ferroviario civile veniva adattato rapidamente per scopi militari, con blindature e armamenti improvvisati ma, come nelle marine militari lo sviluppo della potenza dei nuovi cannoni costringeva ad aumentare progressivamente la corazzatura delle grandi navi da battaglia, anche per i convogli ferroviari il fattore protezione diventò un grave problema, il peso delle corazzature e degli armamenti andava a scapito del fattore velocità. Alla fine del secolo scorso la guerra anglo-boera per il dominio dell’Africa Australe dimostrò l’impossibilità di continuare a adattare materiali ferroviari civili all’uso bellico.
Nacquero così i treni militari blindati, potenti, veloci e bene armati, delle vere corazzate terrestri. Per chiari motivi commerciali già da tempo tutti i paesi d’Europa si erano accordati per unificare lo scartamento, la distanza intercorrente fra i binari, delle linee ferroviarie principali. Solo l’impero degli Zar adottò uno scartamento più grande, anche per impedire agli eventuali avversari di utilizzare le linee ferroviarie russe.

La Grande Guerra

Nel 1914 scoppiò la Grande Guerra e già dopo i primi scontri i treni corazzati dimostrarono la loro scarsa efficacia. Nei sogni dei grandi strateghi le linee ferroviarie dovevano permettere ai convogli veloci spostamenti e fulminei interventi nelle battaglie, ma i percorsi stabiliti e definiti dai binari si rivelarono un ostacolo imprevisto e insuperabile. Un minimo danneggiamento ai binari bastava a trasformare la corazzata terrestre in un facile bersaglio per le artiglierie avversarie, e di conseguenza i treni corazzati vennero relegati rapidamente in seconda linea o utilizzati come artiglierie semoventi. Il futuro apparteneva a mezzi armati e protetti ma capaci di muoversi sul territorio in maniera indipendente: i carri armati.
L’i. e r. esercito austro ungarico schierava tra le sue file 10 treni corazzati di concezione moderna, che erano formati da due sezioni distinte. La prima era la sezione da combattimento, composta da una o due locomotive blindate, da due o tre vagoni blindati di cui almeno uno armato con un pezzo d’artiglieria di marina a tiro rapido L.30 da 7 cm e gli altri con pezzi d’artiglieria da marina a tiro rapido L.33 da 4,7 cm e mitragliatrici Schwarzlose cal. 8 mm. Completava la sezione un vagone staffetta con materiale da massicciata per le riparazioni di circostanza. La seconda era la sezione carreggio, composta dai vagoni officina, attrezzi, cucina, viveri e fureria, dal vagone alloggio ufficiali e da due o tre vagoni alloggio per la truppa. La seconda sezione durante le azioni restavano nella stazione ferroviaria dov’era di base il convoglio.
Il personale in servizio sui treni corazzati costituiva un equipaggio autonomo, come sulle navi della i. e r. marina da guerra ed era formato da fanti, artiglieri e soldati del genio ferrovieri. Come sulle navi da guerra il suo comandante godeva di una larga autonomia decisionale. Con la dichiarazione di guerra dell’Italia, per l’Austria-Ungheria, già impegnata in Serbia e in Russia, si apriva un nuovo fronte di lotta. Contro il nuovo avversario vennero mandati tutti i materiali bellici disponibili, fra cui anche due treni corazzati, il N.5 sul fronte trentino e il N.2 sul fronte dell’Isonzo.

L’azione di Plava

All’alba dell’8 giugno 1915, nel corso delle operazioni militari che precedettero il primo dei massacri che presero il nome di battaglie dell’Isonzo, reparti italiani del genio pontieri iniziarono la costruzione un ponte di barche sull’Isonzo, presso Plava. L’intento del comando italiano era di oltrepassare il fiume e costituire una testa di ponte in appoggio ai contemporanei attacchi della fanteria al Podgora e al Sabotino. Ma il lavoro venne scorto dalle vedette austro-ungariche e un preciso fuoco d’artiglieria distrusse il ponte, non ancora completato. Il forzamento dell’Isonzo venne ripetuto la sera successiva e, per mezzo di un ponte girevole su galleggianti, un reparto di volontari del 38º fanteria, brigata Ravenna, venne traghettato sulla riva opposta, per proteggere il gittamento di un ponte di barche fisso. Per contrastare questa impresa il comando austro-ungarico decise di ricorrere al treno corazzato a disposizione alla stazione di Prevacina. L’i. e r. Treno Corazzato N.2 era al comando del tenente Bernhard Scheichelbauer, ufficiale proveniente dall’i. e r. reggimento di fanteria N.4, reclutato a Vienna. L’i. e r. reggimento di fanteria “Hoch- und Deutschmeister” N.4 conservava l’eredità storica e le tradizioni dell’antichissimo ordine dei cavalieri teutonici, e un suo battaglione difendeva le trincee di quota 383, proprio sopra Plava. La sezione da combattimento del convoglio era composta da un vagone staffetta, un vagone corazzato armato con un cannone L/30 da 7 cm, una locomotiva blindata e due vagoni corazzati armati con mitragliatrici russe di preda bellica.
La notte del 9 giugno il treno lasciò la sua base di Prevacina, attraversò la stazione di Gorizia – Montesanto e iniziò a risalire l’Isonzo lungo la Ferrovia Transalpina. Poco prima di arrivare a Plava, giunto all’altezza di Zagora, il convoglio fece sosta nel tunnel Babinrub, mentre i soldati del genio ferrovieri dell’equipaggio provvedevano a riparare l’interruzione ferroviaria predisposta dai soldati italiani. Ripristinata la linea, alle prime luci del 10 giugno il treno giunse a piena velocità a Prilesje, alle spalle dei genieri italiani che costruivano il ponte di barche e dei reparti di fanti che attendevano di attraversare l’Isonzo, sparando con tutte le armi di bordo. Seminato il panico e la distruzione, il treno inizi una velocissima ritirata verso Gorizia, favorito dalla pendenza favorevole della linea e senza essere minimamente ostacolato dal fuoco delle artiglierie italiane. Ma l’i. e r. Treno Corazzato N.2 non limitò la sua partecipazione alle battaglie dell’Isonzo a questo celebre e clamoroso intervento. Il 13 giugno il treno corazzato cercò di ripetere la fortunata incursione a Plava, ma la vigilanza molto più attenta delle truppe italiane fece fallire l’azione. Per evitare il ripetersi di simili attacchi il comando italiano aveva fatto costruire immediatamente un robusto sbarramento difensivo per interrompere la linea ferroviaria. Alle prime luci del 14 giugno il treno corazzato sostava ancora nel tunnel Babinrub e il tenente Scheichelbauer, vedendo l’impossibilità di avvicinarsi alle linee italiane, ordinò il ritorno alla base. Successivamente il treno venne utilizzato come artiglieria semovente per colpire sul fianco le truppe italiane attaccanti Zagora.

L’attacco visto da parte italiana

Il colonnello Gustavo Reisoli così ricorda l’attacco del treno corazzato nel suo libro “La conquista di Plava”. “Ne’ basta: ché, all’alba, improvvisamente con un sinistro rumore di ferraglia, irrompe a Prilesje un treno blindato, con subito scrosciare di mitragliatrici e tuonare di cannone, portando un vero scompiglio fra gli zappatori intenti ad allestire il materiale da ponte. Formato da una locomotiva al centro e da due vagoni corazzati in testa e in coda, esso era destinato a fare improvvise apparizioni sulla ferrovia dell’Isonzo, a monte e a valle di Gorizia, per impedire, sopra tutto, i nostri passaggi del fiume. L’intervento della nostra artiglieria e l’interruzione della linea, immediatamente praticata, gli impedirono di ritentare la prova. Dopo questi avvenimenti, il giorno passò in un reciproco vigilarsi.”

L’attacco alla stazione di Monfalcone

Dopo la seconda battaglia dell’Isonzo, la III armata italiana ricevette l’ordine di continuare a premere contro le difese austro-ungariche. Il 10 agosto la brigata Granatieri di Sardegna venne destinata all’attacco delle quote 121 e 85 sopra la stazione di Monfalcone. La lotta infuriava aspra e sanguinosa da alcuni giorni e le linee tenute dalle truppe della monarchia bicipite vacillavano sotto i violenti sforzi dei soldati italiani. Per ridurre la pressione quasi insostenibile sulle proprie truppe, il 13 agosto il comando della 57ª divisione di fanteria austro-ungarica diede all’i. e r. Treno Corazzato N. 2, fermo nella stazione di Prevacina, l’ordine n.622/17 con cui veniva comandato di sostenere l’azione difensiva della propria fanteria con un attacco di alleggerimento da effettuarsi nel settore di Monfalcone. Nottetempo il convoglio si mosse e, attraverso San Daniele del Carso, Duttogliano e Opicina, arrivò ad Aurisina, dove imboccò i binari della Ferrovia Meridionale. Percorrendo la linea ferrata a luci smorzate e fuoco della caldaia al minimo, raggiunse quota 77 dopo il viadotto di Sablici, immediatamente vicino alla quota 85. Riparati i danni ai binari e alla massicciata, il tenente Scheichelbauer decise di proseguire il viaggio in direzione di Monfalcone.
Come a Plava il treno corazzato si lanciò a grande velocità attraverso la linea degli avamposti italiani e raggiunse il piazzale degli scambi all’ingresso della stazione di Monfalcone, immediata retrovia del fronte, dove sostavano truppe di riserva e si svolgevano operazioni di carico e scarico di materiali bellici. Approfittando della sorpresa e dello sbigottimento causato dal suo irrompere, il treno aprì immediatamente il fuoco con tutte le sue armi sugli obiettivi visibili, dai pendii della Rocca all’Adria Werke, e prima che le truppe italiane potessero abbozzare una resistenza o una reazione, iniziò il viaggio di ritorno. La forte salita verso Aurisina però ostacolava il viaggio di rientro e richiedeva tutta la potenza della locomotiva, che mostrava con getti di scintille e sbuffi di fumo la sua posizione all’avversario. Sulle luci si concentrò presto il violento fuoco d’artiglieria da parte dei difensori, riavutisi intanto dalla sgradita sorpresa. Inseguito da numerose granate che esplodevano nelle sue immediate vicinanze, il treno ebbe solo trascurabili danni provocati da schegge e fece ritorno praticamente indenne alla sua base a Prevacina.

Il giudizio di un protagonista

Il contrammiraglio austro-ungarico Alfred von Koudelka, all’epoca comandante del settore costiero, così commenta l’episodio nel suo libro di memorie “Rotta su Trieste”. “Ad un certo punto mi fu assegnato un treno corazzato, proveniente dalla Galizia. L’unico modo di impiegarlo al fronte sud-occidentale era offerto dalla linea ferroviaria Sistiana – Monfalcone. Un quartiermastro del battaglione da sbarco verificò alla luce del giorno e sotto un violento fuoco nemico il tratto che il treno avrebbe dovuto percorrere nell’oscurità. Per questo suo gesto fu ricompensato con la medaglia al valore militare. Il treno corazzato avanzò, sparò una manciata di colpi con i suoi cannoni da 7 cm e poi retrocesse il più rapidamente possibile. Non riuscì a raggiungere grandi risultati!”
L’acidità delle parole di Koudelka riflettono tutte le difficoltà della situazione in cui l’ufficiale dell’i. e r. marina da guerra doveva operare: comandando anche le truppe dell’i. e r. esercito che presidiavano il settore costiero, era costretto a barcamenarsi tra le gelosie, i conflitti e le rivalità che correvano fra il comando della marina da guerra di Pola e quello dell’esercito. Di sicuro ad un ufficiale esperto e preparato come von Koudelka l’utilizzo così avventato, rischioso e soprattutto ininfluente nello svolgimento della lotta di un mezzo sofisticato e costoso come un treno corazzato doveva sembrare un inutile spreco di uomini, di materiali e di risorse tecniche.

Epilogo

L’ultima azione sul fronte italiano dell’i. e r. Treno Corazzato N.2, il cui rifugio contro le artiglierie italiane era il tunnel ferroviario di Castagnavizza, avvenne l’11 settembre 1915 con l’ennesimo cannoneggiamento delle truppe italiane che attaccavano le difese di Zagora.
L’i. e r. Treno Corazzato N.5 ebbe un impiego analogo lungo la linea della Valsugana, con risultati similari. Anche sul fronte italo-austriaco era finito il tempo dei treni corazzati. Nati come mezzi per portare intrepidamente l’offensiva nel cuore dei territori avversari, i treni corazzati si videro ridotti a percorrere brevi percorsi ad immediato ridosso del fronte e attentamente sorvegliati, per poter svolgere un’attività di appoggio d’artiglieria per la quale non erano stati concepiti, non essendo armati a sufficienza.

Roberto Lenardon

Bibliografia

Alfred von Koudelka – “Rotta su Trieste” – Editrice Goriziana 1990
Gustavo Reisoli – “La conquista di Plava”, collana di monografie storiche sulla guerra del 1915-1918, volume 2 a cura dell’Ufficio Storico del Comando del corpo di Stato Maggiore, edizioni del Ministero della Guerra, 1932
Walther Schaumann – “Alcune note sui treni corazzati” – in “Der Dolomitenfreunde” – numeri III/93 e I/94
Walther Schaumann – “Die Bahnen zwischen Ortler und Isonzo 1914-1918” – Edizioni Bohmann 1991
Walther Schaumann – Peter Schubert – “Isonzo, là dove morirono” – Ghedina e Tassotti Editori 1990
Josef Seifert – “Isonzo” – Editrice Goriziana 1983
Ufficio Storico dell’Esercito Italiano – “L’esercito italiano nella Grande Guerra” volume II (narrazione) – Istituto Poligrafico dello Stato 1929