L’occupazione militare alleata nel Friuli e nella Venezia Giulia (1945-1947)

 

Descrivere in poche pagine le varie attività svolte sul territorio del Friuli – Venezia Giulia da una divisione di fanteria dell’esercito degli Stati Uniti nel periodo post-bellico, non è cosa semplice.

La vita quotidiana di circa 15.000 uomini, sistemati su una linea di frontiera provvisoria da Trieste alle Alpi Giulie, con tutti i mezzi in dotazione all’unità, le armi, gli alloggiamenti, i magazzini materiali e la sussistenza, i turni di guardia negli oltre 65 posti fissi di controllo posizionati lungo la “Linea Morgan”, i reparti che si avvicendano, l’arrivo delle reclute inesperte e la partenza dei soldati anziani che ritornano a casa, i tanti servizi giornalieri e l’organizzazione del tempo libero della truppa e degli ufficiali, tutto ciò avrebbe bisogno di essere narrato in un intero volume, e forse uno solo non sarebbe neppure sufficiente. Quello che più ci interessa di conoscere è quali fossero le attività di tutti questi militari inglesi ed americani che stazionavano in casa nostra, e perché a guerra ormai finita essi circolavano così numerosi ovunque ed il motivo dell’esistenza di un Governo Militare Alleato al quale tutta la regione era sottoposta.

Dobbiamo ritornare ai tempi della fine della guerra, per comprendere la situazione di allora. Gli eserciti alleati in Italia con l’offensiva finale dell’aprile del 1945, sfondato il fronte sugli Appennini, erano avanzati nella pianura Padana ed avevano occupato tutto il territorio del nord Italia, raggiungendo i confini con la Francia, la Svizzera e l’Austria. Al loro arrivo nel nord–est dell’Italia, trovarono ad attenderli le truppe del Maresciallo Tito che a loro volta erano avanzate vittoriose dai limitrofi territori Jugoslavi fin oltre l’Isonzo. In precedenza, accordi su come dovevano essere divisi i vari territori del nord liberati dagli occupatori nazisti e dai fascisti loro collaboratori, erano già stati presi fra le forze alleate e lo stesso Tito, ma all’ultimo momento l’esercito Jugoslavo si era spinto molto oltre alle zone assegnate e si trovava a controllare territori che inizialmente erano stati previsti fare parte della zona da sottoporre al controllo degli Alleati. Da qui nacque un contenzioso fra gli anglo–americani e la Jugoslavia, la quale aveva adottato la linea politica del fatto compiuto. Per oltre 40 giorni i rapporti fra Alleati e Jugoslavi furono oltremodo tesi, la qual cosa tenne con il fiato sospeso tutti gli abitanti della regione a causa dell’alto rischio di passare alle vie di fatto fra ex-alleati. Prevalse il buonsenso ed il compromesso e dopo un periodo di aspra contesa diplomatica, un territorio formante un corridoio di transito che partendo dal porto di Trieste portava alle zone occupate dell’Austria meridionale veniva sgomberato dalle truppe di Tito e consegnato agli anglo–americani, come in origine previsto dagli accordi stipulati antecedentemente la fine delle ostilità.

Le città di Trieste, di Gorizia e Pola ed i territori limitrofi vennero definitivamente occupati dalle truppe anglo-americane. Tutto il resto della vecchia regione della Venezia Giulia e dell’Istria restò sotto il controllo Jugoslavo. Venne stabilita una linea di demarcazione che separava la zona occupata dai militari alleati da quella occupata dai militari jugoslavi, definite zona “A” e zona “B”. Questo tracciato si chiamò la “Linea Morgan” e prese il nome del generale inglese che la suggerì e quindi la definì in dettaglio sulle mappe militari. In attesa delle risoluzioni della Conferenza di Pace in corso di organizzazione a Parigi, ove tutti i contenziosi fra gli stati ex belligeranti sarebbero stati esaminati e decisi, il confine provvisorio fra l’Italia e la Jugoslavia, divenne questa linea di demarcazione fra i due eserciti occupanti e dagli stessi presidiata e garantita. Da una parte gli eserciti inglese ed americano, e dall’altra l’esercito della nuova Jugoslavia di Tito.

Si trattava di una soluzione provvisoria, la quale non teneva in alcun conto le realtà nazionali delle locali popolazioni che erano costrette a vivere nell’una o nell’altra zona, né si curava concretamente dei loro interessi economici. La “Linea Morgan” iniziava alla periferia di Muggia e terminava al Passo del Predil. La zona attraversata era quella dei villaggi del Carso Triestino e Goriziano, quindi correva lungo tutta la vallata dell’Isonzo fino ai piedi delle Alpi Giulie. Naturalmente, interi paesi popolati da genti slave si trovavano sotto il controllo delle truppe anglo– americane, mentre i villaggi della costa istriana con prevalenza di abitanti italiani venivano a trovarsi sotto il controllo militare jugoslavo. La città di Pola, pur essendo esterna alla “Linea Morgan”, venne inclusa nel territorio della zona A in quanto considerata scalo marittimo necessario per i rifornimenti degli anglo–americani.

Ogni futuro assetto territoriale era rinviato alle decisioni che sarebbero state prese dalla Conferenza di Pace di Parigi, la quale avrebbe definito l’appartenenza delle genti e dei territori all’uno o all’altro governo nazionale e creato un nuovo confine che sarebbe poi divenuto quello ufficiale e definitivo fra i due stati che si contendevano il territorio in questione.

Le popolazioni residenti, in attesa di conoscere il loro destino, iniziarono intanto a rimboccarsi le maniche ed a cercare di fare fronte alle necessità quotidiane nel tentativo di ricostruirsi una vita decorosa dopo la bufera e le distruzioni della guerra. Venne stabilita una zona di competenza fra i due eserciti alleati: il tratto del territorio da Muggia fino al collegamento stradale tra Palmanova e Gradisca veniva assegnato all’esercito britannico, mentre all’esercito americano venne affidata la zona opposta la strada Palmanova–Gradisca e su fino al Passo del Predil.

Per motivi di rappresentanza, alcuni reparti inglesi furono alloggiati a Gorizia, altrettanto fecero gli Americani sistemando alcuni dei loro reparti a Trieste e Pola. A parte le formali presenze miste, ogni esercito occupò e controllò autonomamente e senza interferenze il territorio ricevuto. Venne costituito un Governo Militare Alleato (G.M.A.) della Venezia Giulia, del quale oltre ai militari fecero parte anche molti personaggi civili con esperienze amministrative già maturate in passato durante le varie amministrazioni civili e militari succedutesi nella regione, possibilmente il meno compromessi in prima persona con l’ex–partito fascista precedentemente al potere, ed i rappresentanti di tutti i partiti democratici risorti nuovamente dopo il crollo del fascismo e la cessazione delle ostilità.

Venne costituita una Polizia Civile della Venezia Giulia, a garanzia dell’ordine e della sicurezza della linea di demarcazione, delle popolazioni residenti e dell’osservanza delle leggi del G.M.A., la quale fu completamente addestrata e diretta dai britannici. La sede del G.M.A. e del Comando delle forze della Polizia Civile della Venezia Giulia (P.C.V.G.) fu sempre la città di Trieste.

Per quanto pochi territori della provincia di Udine fossero oggetto di disputa internazionale, come adesempio il Tarvisiano, le alte valli del Natisone e parte del Collio cividalese, e seppure l’elemento slavo ivi residente era una minoranza che si riteneva assimilata alle popolazioni Friulane, tutta la fascia del territorio della provincia di Udine alle spalle della “Linea Morgan” venne dichiarata zona strategica ed occupata militarmente dagli Alleati in quanto ritenuta di primaria necessità alle attività logistiche di entrambi gli eserciti occupanti. Anche se l’amministrazione era quella Italiana, la città di Udine, i paesi di Manzano, Buttrio, Tricesimo, Cividale, Tarcento, Tarvisio, Cave del Predil, Coccau e Fusine – solo per citarne i più importanti – facevano parte di quel territorio alle spalle della “Linea Morgan” che vedeva unamassiccia presenza militare americana, pur non facendo parte dei territori amministrati direttamente dal G.M.A. della Venezia Giulia. Lo stesso avveniva per le cittadine friulane alle spalle della zona di controllo britannica: Aiello, Visco, Cervignano, Palmanova, Villa Vicentina, Latisana e Codroipo ed altri centri del Friuli meridionale. Fra il territorio della provincia di Udine (Italia) e quello delle province di Gorizia e di Trieste e la città di Pola (G.M.A.) erano in funzione dei posti di blocco per il controllo delle merci e delle persone in transito, per la maggior parte presidiati dalla Polizia Civile, e nelle strade di collegamento più importanti anche dalla Polizia Militare Alleata. Per uscire dal territorio della Venezia Giulia, era necessario ai residenti un permesso firmato rilasciato da un apposito ufficio del G.M.A. (Ufficio Affari Civili) che si trovava presso ogni Municipio del territorio occupato. Carte di identità quadrilingui, in inglese, italiano, sloveno e croato (per la zona di Pola ), vennero consegnate ad ogni cittadino residente nel territorio amministrato dal G.M.A. Per i cittadini Italiani che dall’Italia chiedevano di entrare nella Venezia Giulia, oltre ai documenti di identità rilasciati dai rispettivi Municipi di residenza, dovevano esibire al controllo un permesso rilasciato da un apposito ufficio alleato distaccato allo scopo in territorio Italiano. Alla metà di giugno del 1945, data dell’inizio dell’amministrazione Alleata, tutte le unità militari presenti in zona erano le stesse truppe che giunte combattendo sul territorio a fine aprile all’inseguimento dei resti dell’esercito tedesco in ritirata, vi si erano poi fermate in attesa della definizione delle aree di occupazione, ma poiché la guerra era ormai conclusa, anche in attesa di un prossima smobilitazione e di un rientro in patria. Possiamo dire che quasi tutti i reparti e le unità presenti nella 5ª Armata U.S.A. e nella 8ª Armata britannica in un modo o nell’altro sono transitati per il Friuli-Venezia Giulia, anche se a motivo di una breve visita di ispezione o durante un viaggio di trasferimento verso il confine austriaco. La prima divisione di fanteria U.S. a fare la sua comparsa agli inizi del maggio del 1945, fu la 91ª, detta dalla popolazione “quelli del pino verde” dal distintivo di stoffa che appariva cucito sulle maniche e sui copricapi delle loro uniformi, subito seguita dalla 10ª divisione di fanteria da montagna chiamati anche “gli alpini americani”. Entrambe le unità si fermarono in regione fino al luglio del 1945, data in cui ebbe inizio la loro smobilitazione. Il loro posto venne preso dalla 34ª divisione di fanteria “quelli del toro rosso” giunti in regione già con effettivi ridotti a causa del congedo delle classi più anziane. Questa unità dovette essere rinforzata con molti militari provenienti da altre divisioni di fanteria U.S.A. presenti nelle altre zone del nord Italia, i quali a causa della giovane età e per il breve periodo di servizio oltremare svolto, erano ancora sprovvisti del punteggio necessario a guadagnarsi il diritto di essere congedati e rinviati in America. Durante il mese di settembre del 1945, anche per la gran parte dei militari della 34ª divisione di fanteria giunse il momento del congedo e del rientro in patria. Il Comando della 5ª Armata decise allora di affidare il controllo della zona U.S.A. della Venezia Giulia alla 88ª divisione di fanteria “Blue Devils” (quelli del quadrifoglio blu) in quei giorni dislocati a Bolzano e Merano, ove vigilavano il confine del Brennero, ma con un forte numero di effettivi in servizio nella zona Brescia – Lago di Garda incaricati del controllo dei numerosi campi di prigionieri di guerra tedeschi colà concentrati. Questa unità era stata a suo tempo, dopo i consistenti congedi dell’estate 1945, reintegrata con nuovi arrivi di truppe ed a ragione dei gravosi compiti ricevuti, era stata sempre tenuta con particolare riguardo ben fornita di effettivi e mezzi ed aveva mantenuto un discreto grado di efficenza. Questa era forse l’unica unità veramente in grado di assumere il compito del controllo della Venezia Giulia in quanto completa negli organici e ad un buon livello di preparazione ed operatività. Ricevuto l’ordine di trasferimento dall’Alto Adige al Friuli a fine settembre 1945, la divisione nell’arco di due settimane fu in grado di dislocarsi lungo i quasi 90 km. della zona nord della “Linea Morgan” assegnati alla zona di occupazione americana. La sede del Comando di divisione era Gorizia, così pure il Comando dell’artiglieria divisionale. I Comandi dei tre reggimenti di fanteria erano così distribuiti: il 349° con sede a Gorizia con l’incarico di vigilare una porzione di territorio fra Gradisca e Canale d’Isonzo, con unità dislocate lungo il fiume Isonzo, in Gorizia e lungo la valle del Vipacco fino ad Aidussina e Montespino, con piccoli reparti presenti a Lucinico, Manzano e Buttrio ed in vari villaggi del Collio cormonese. Il 350° Reggimento di fanteria con sede a Tarcento, vigilava un territorio che andava grosso modo da Canale d’Isonzo fino ad oltre Caporetto, con reparti a Cividale, San Pietro al Natisone, a Pulfero e giù lungo la valle dell’Isonzo fino ai villaggi di Doblari, Volzana, Santa Lucia d’Isonzo e Saga, mentre una sua Compagnia era di stanza a Pola. Il 351° Reggimento di fanteria con sede a Tarvisio, la città ed una zona di controllo dai valichi di Coccau, Fusine e Predil, quindi giù fino a Plezzo, con reparti in Tarvisio, Ugovizza, Valbruna, Cave del Predil e Plezzo. Un suo battaglione si trovava di guarnigione a Trieste.

Tutti e quattro i battaglioni di Artiglieria campale divisionale si trovavano a Gorizia e dintorni, sparsi nelle varie vecchie caserme della città così pure le sedi del reparto di Polizia Militare, delle Trasmissioni e dei Trasporti divisionali e dei Servizi Speciali. I Comandi del Commissariato e della Sussistenza avevano invece sede a Udine, ove le numerose caserme dell’ex- Regio Esercito Italiano ed i capienti magazzini garantivano gli spazi e la sicurezza necessarie. A Udine avevano anche sede il 15° Ospedale Militare da campo e la Croce Rossa Americana. A Cividale avevano sede invece il battaglione del Genio, quello della Sanità, i Servizi di Manutenzione ed il Carcere Militare divisionale. Il reparto dell’Osservazione aerea d’Artiglieria era sistemato nell’ex aeroporto militare di Gorizia, il quale disponeva di una mezza dozzina di piccoli aerei biposto L-5 Stinson, con l’incarico di pattugliare ed osservare dall’alto il territorio occupato, incarico che venne svolto quasi quotidianamente, meteo permettendo. A Capriva del Friuli avevano sede i plotoni degli Esploratori e della Cavalleria leggera, a Cormòns il 752° Battaglione Carri con il plotone controcarri. Un treno militare collegava giornalmente Udine, Gorizia e Trieste al porto di Napoli, ove affluivano tutti i rifornimenti via mare dagli Stati Uniti per le unità di occupazione. La Divisione disponeva di un impianto autonomo per la produzione della Coca Cola a Cividale, per la preparazione di gelato a Gorizia, mentre la birra veniva loro fornita dalla casa produttrice Pedavena con sede nella omonima città veneta. Ogni località ove risiedevano dei reparti, era servita da uno o più spacci militari forniti di qualsiasi genere di prima necessità offerto a pagamento, mentre anche la Croce Rossa Americana era presente con propri punti fissi e mobili di ristoro, in grado di offrire ai militari presenti generi di ristoro (del tè e caffè e spuntini vari) a prezzi modici e ad orari prestabiliti durante l’arco della giornata. La Divisione disponeva di una propria Banda, di una emittente radiofonica che trasmetteva ogni giorno notiziari e programmi musicali e culturali per le truppe, la quale aveva sede in Gorizia. A Venezia invece, presso la sede del locale quotidiano “Il Gazzettino” veniva stampato il giornale della Divisione “The Blue Devil”, un settimanale che veniva distribuito gratuitamente al personale militare. Al Lido di Venezia, venne istituita una Scuola Militare divisionale per il personale ritenuto idoneo al passaggio alla categoria sottufficiali, molto attiva e frequentata da militari segnalati dai propri comandi essere meritevoli di avanzamento di grado.

Dei centri ricreativi, sia estivi che invernali per le truppe, vennero istituiti a Cortina d’Ampezzo ed a Grado, per i militari ritenuti più meritevoli e per gli allenamenti delle numerose squadre sportive. Nel corso dell’anno 1946 iniziarono a giungere in Italia le famiglie degli ufficiali e dei sottufficiali americani in servizio permanente effettivo nell’esercito, le quali vennero inizialmente e temporaneamente alloggiate in alcuni dei numerosi alberghi disponibili al Lido di Venezia, subito requisiti allo scopo, fino al momento in cui non veniva loro trovata una adeguata sistemazione privata nelle località di residenza dei reparti presso i quali erano in servizio i rispettivi capifamiglia.

Una particolare menzione va fatta all’organizzazione sportiva dell’esercito americano. Presso il Comando di divisione esisteva uno speciale ufficio ove l’incarico del personale addetto era di organizzare e selezionare personale per le squadre sportive che dovevano partecipare a campionati interni fra i vari reparti della stessa unità, dai quali a loro volta ricavare delle compagini rappresentative a livello di divisione ai fini di potere partecipare a gare con altre formazioni di unità presenti in tutta Europa in una specie di torneo per l’aggiudicazione di una Coppa dell’esercito U.S.A. di occupazione d’oltremare. Le gare si svolgevano di solito in Germania e vi partecipavano le rappresentanze sportive di tutte le unità U.S.A. sparse per l’Europa, spesso con la partecipazione anche di squadre inglesi, francesi e sovietiche. Gli sport ammessi per la competizione interforze erano cinque: basket, baseball, softball, rugby e sci. Per i campionati interni della divisione, erano ammesse tutte le specialità dell’atletica leggera ma anche il football, che pur non essendo uno sport nazionale U.S.A. era necessario praticare per competere contro le agguerrite compagini dell’esercito britannico presenti in zona ed in tutta l’Europa, oltre naturalmente le discipline base già menzionate. Per gli allenamenti con gli sci, era utilizzata la sede di Cortina d’Ampezzo, ma molto spesso anche note località della vicina Svizzera, soprattutto per gli allenamenti conclusivi prima dell’inizio delle gare ufficiali.

Naturalmente, trattandosi di una divisione in permanente stato d’allerta l’addestramento militare e la disciplina erano all’ordine del giorno. Quotidianamente tutti i reparti venivano addestrati all’uso delle varie armi, aggiornati sulla situazione locale ed internazionale, edotti sui loro compiti e doveri e sui vari comportamenti da adottare nelle circostanze più diverse che potevano presentarsi durante lo svolgimento delle diverse mansioni loro assegnate. Campi estivi ed invernali d’esercitazione erano organizzati a turno per le varie unità, inizialmente in zone riservate in Austria, ma successivamente anche a Valbruna ed a Cave del Predil. Esercitazioni a fuoco con le armi ed i mezzi, erano settimanalmente svolte da tutte le unità in appositi poligoni situati nello stesso territorio di residenza. Con il passare del tempo, l’avvicendamento fra anziani e reclute venne organizzato con cadenza mensile, e per i nuovi arrivati vennero istituiti alcuni centri di raccolta e di smistamento presso i quali prima di essere assegnati ai vari reparti operativi, avveniva una specie di preparazione e formazione accelerata del personale. Poiché le reclute arrivavano da Napoli (in seguito dal porto di Livorno) con il treno, alla stazione di Udine venivano fatti scendere ed avviati a dei centri di raccolta predisposti nella pianura friulana, e dopo l’inquadramento accennato che durava comunque qualche giorno, con dei camion venivano trasportati alle diverse unità di destinazione.

Questa era l’organizzazione militare esistente sul territorio, ma quali erano i compiti dei soldati incaricati della sorveglianza della “Linea Morgan”? Essendo questa una linea di demarcazione militare, uno degli scopi primari era il pieno controllo dei traffici e dei passaggi delle persone e delle cose dalla zona “A” alla zona “B” e viceversa, oltre al totale e permanente pattugliamento di tutta la linea allo scopo di evitare sconfinamenti, infiltrazioni, il contrabbando ed il possibile passaggio di armi e persone a cavallo del confine. Un utilizzo aggiuntivo delle truppe era quello di deterrente anti sommosse e scontri fra fazioni di civili di diverso orientamento politico. Per quanto questo compito ricadesse sotto la responsabilità della Polizia Civile e Militare, sovente per il controllo di grandi masse radunate veniva steso un cordone di militari per limitare ed arginarne i movimenti della folla o separare gruppi di diversa tendenza politica in atteggiamenti ostili. Come già accennato, a Parigi erano iniziati i lavori della Conferenza della Pace. Dovevano essere prese le decisioni sul futuro assetto della Venezia Giulia, sulla quale pendevano le rivendicazioni della Jugoslavia. Allo scopo di trovare una soluzione ottimale che potesse avvicinarsi alle reali aspirazioni delle genti residenti nel territorio, venne istituita dal Consiglio delle Grandi Potenze, U.S.A., Gran Bretagna, Francia ed Unione Sovietica, una Commissione Interalleata d’Inchiesta che visitò tutti i territori ed i paesi della Venezia Giulia oggetto di contesa, nel tentativo di valutare le reali volontà delle popolazioni residenti. Nella zona “A” controllata dagli Alleati, i cittadini appartenenti al gruppo etnico sloveno erano per la massima parte favorevoli all’annessione della Venezia Giulia alla nuova Jugoslavia di Tito, appoggiati anche da alcune organizzazioni create da appartenenti al gruppo etnico italiano che per motivi politici ed ideali ritenevano che la Jugoslavia potesse meglio soddisfare le loro aspettative economiche e sociali. Il resto dei cittadini di sentimenti italiani, si ispirava per la gran parte agli orientamenti politici dei rinati partiti democratici italiani, i quali erano favorevoli ad un ritorno del territorio all’Italia, nell’imminenza del Referendum popolare fra la Monarchia e la Repubblica, e le nuove elezioni politiche nazionali che ne sarebbero seguite, le quali senza dubbio avrebbero dato al paese un nuovo assetto politico ed amministrativo di orientamento democratico.

Entrambi gli schieramenti cercarono in tutti i modi di influenzare la Commissione Interalleata durante la sua permanenza nella Venezia Giulia, predisponendo varie dimostrazioni e sfilate a favore dell’una o per l’altra soluzione della questione Giuliana. I diversi gruppi politici coinvolti ebbero spesso l’occasione di
venire alle mani, ci furono diversi attentati che provocarono delle vittime e colluttazioni, vandalismi, insulti e percosse all’ordine del giorno, nonostante gli sforzi degli Alleati per evitare gli scontri diretti ed il loro tentativo di portare i diverbi sul piano del confronto civile e democratico. Spesso ci furono morti e feriti fra i dimostranti delle varie fazioni e purtroppo diversi feriti anche fra i militari in servizio d’ordine e vigilanza che si trovarono coinvolti nei tumulti. Innumerevoli le persone arrestate e condannate dai Tribunali Militari per turbativa pubblica e gravi atti di ostilità, persone appartenenti ad entrambi gli schieramenti politici, e per atti di disobbedienza alle disposizioni emanate dal Governo Militare Alleato. Per quanto il G.M.A. avesse proibito qualsiasi manifestazione non autorizzata, il clima di tensione fomentato dai vari gruppi interessati a creare disordini non cessò per tutto il periodo della presenza della Commissione Interalleata sul territorio, mantenendo l’allerta permanente dei reparti militari residenti. Anche quando la Commissione lasciò la Venezia Giulia, al termine dei suoi lavori e rientrò alla base a Parigi ove relazionò al Consiglio delle Grandi Potenze, il clima di contrapposizione e di lotta politica in evidente ostilità fra i fautori dell’una o dell’altra soluzione non si mitigò e continuò sino a che le decisioni della Conferenza di Pace non divennero pubbliche e definitive.

Non mancarono atti di ostilità nei confronti dei militari Alleati, anche da parte degli stessi militari jugoslavi preposti alla vigilanza della linea di demarcazione dalla parte opposta. Sovente dei colpi di arma da fuoco vennero esplosi da oltre confine verso dei militari isolati o verso piccole pattuglie in perlustrazione lungo il confine. Anche qualche automezzo militare venne preso di mira. Diversi militari alleati persero la vita in queste imboscate e naturalmente il clima che venne a crearsi, a parte tutte le inevitabili complicazioni diplomatiche connesse, fu quello di sfiducia e di diffidenza fra i militari che si fronteggiavano: quando poi due aerei Alleati vennero abbattuti dagli jugoslavi in quanto avendo smarrito la rotta erano sconfinati per errore nel loro territorio, ci si trovò sull’orlo di un conflitto. Ci furono scuse ufficiali, restituzione di salme di caduti e di personale militare trattenuto come prigioniero, ma i rapporti erano già oramai definitivamente compromessi.

Inimmaginabile l’indotto creato dalla presenza di tutte queste truppe sul nostro territorio. I militari Alleati venivano pagati in Buoni Militari emessi dall’esercito U.S.A., che potevano essere cambiati in lire. Tali buoni costituivano la valuta legale utilizzata in tutto il territorio occupato e naturalmente nel resto d’Italia. Il cambio poteva essere effettuato presso gli stessi uffici di pagamento militari, ma tutti si servivano dei cambi valuta praticati dai civili esterni, che garantivano un tasso di cambio molto più favorevole. Naturalmente questa attività era illegale. Bar, caffè, ristoranti, locali da ballo, alberghi ed affittacamere, pullulavano in ogni città o paese del territorio. Attività più o meno lecite circondavano tutte le caserme e gli uffici ove erano presenti dei militari, e non c’era soldato che non avesse un suo piccolo traffico per alimentare il dilagante mercato nero il quale poteva spaziare dai viveri al vestiario militare, alle sigarette ed a tutti quei generi di conforto largamente distribuiti alle truppe. Naturalmente, come al seguito di tutti gli eserciti, venne a crearsi anche un vasto giro di “segnorine” e di locali equivoci ove di tutto si faceva mercato, i quali godevano di un alto indice di gradimento fra le truppe. Ovviamente tutte queste donne erano attirate dal fiume di denaro del quale i militari disponevano e che questi spendevano a profusione. Nonostante la Polizia Militare provvedesse subito ad etichettare queste case o locali “Off Limits”, cioè proibiti al personale dell’esercito, la clientela era sempre assidua e numerosa. Notevole però anche il numero di matrimoni contratti fra ragazze delle varie località della zona “A” con soldati ed ufficiali sia inglesi che americani, a dimostrazione che non tutti cercavano solo le relazioni passeggere, ma che i sani valori della famiglia e della buona società erano sempre un obiettivo ambito da raggiungere, nonostante che le disposizioni ufficiali per i militari fossero molto restrittive sui rapporti personali con i civili e ne limitassero molto la libertà di scelta e di movimento. Va detto anche, che contrariamente a quanto si possa pensare per il 60% questi matrimoni furono felici e rivelarono basi solide e rapporti duraturi. Impensabili ai giorni nostri le difficoltà create dalle autorità militari nei confronti delle ragazze che desideravano contrarre matrimonio con un militare alleato. Il minimo era un tentativo di scoraggiarle, quindi di creare più ostacoli burocratici possibili, infine l’obbligo di superare degli esami predisposti, e senza un positivo riscontro, il permesso di matrimonio non veniva concesso al militare interessato. Molti militari dovettero attendere prima di congedarsi dall’esercito, rientrare nel paese di origine, quindi ritornare in Italia privatamente come civili per poi sposarsi con le loro fidanzate, con dei tempi di attesa lunghissimi che spesso sortirono l’effetto contrario, cioè costrinsero molti a rinunciare.

Il 10 febbraio 1947 a Parigi l’Italia firmò il Trattato di Pace, il quale stabiliva nei dettagli quali territori della ormai ex – zona “A” dovevano essere ceduti alla Jugoslavia, e quali invece erano rimasti all’Italia, stabilendo che la ratifica del Trattato entrava in vigore alla data del 15 settembre 1947. Entro tale data i cittadini residenti nelle ex – zona “A” o zona “B” della Venezia Giulia avevano la possibilità di trasferirsi nel territorio ormai italiano o quello divenuto jugoslavo, a loro scelta e discrezione. Gli Alleati sarebbero stati garanti che le volontà dei cittadini venissero rispettate fino al momento del passaggio dei poteri delle zone assegnate rispettivamente alla Jugoslavia ed all’Italia, e che questa scelta avvenisse liberamente e pacificamente nel rispetto delle decisioni del Trattato di Pace stesso. Questo fatto diede inizio a dei grandi spostamenti di masse, in entrambe le direzioni ma il gruppo più consistente fu quello degli italiani provenienti dall’Istria, territorio che venne ceduto per intero alla Jugoslavia. I nuovi confini fra Italia e Jugoslavia risultarono essere in pratica quelli attuali, con l’eccezione della città di Trieste e del suo circondario. Per Trieste e per alcuni comuni limitrofi del Carso e della zona costiera triestina, non venne raggiunto alcun accordo. Venne deciso di creare una nuova zona cuscinetto fra l’Italia e la Jugoslavia con la creazione di un Territorio Libero di Trieste (T.L.T.) ancora sotto controllo Alleato. Poiché la nuova zona da amministrare si riduceva a circa il 20% del precedente territorio dell’ex-zona “A” della Venezia Giulia, venne deciso che anche il contingente del presidio militare anglo-americano non avrebbe dovuto superare la forza di 10.000 uomini, per metà inglesi e per metà americani. La Polizia Civile della Venezia Giulia fu mantenuta in servizio e concentrata a Trieste e divenne la Polizia Civile del T.L.T. L’esercito U.S.A., selezionata la forza ed il numero dei reparti che vennero inviati a Trieste e sparsi nei vari centri del T.L.T., provvide al rimpatrio delle rimanenti truppe in eccesso mentre una parte andò in Austria. Anche gli inglesi adottarono identiche soluzioni trasferendo parte delle loro truppe nelle varie basi militari britanniche dislocate nel bacino del Mediterraneo. Il resto del contingente britannico scelto per rimanere in città, rimase alloggiato nelle caserme e negli stabilimenti che già essi occupavano in precedenza, in quanto si trattava della loro zona di occupazione, mentre le caserme rimaste libere per lo sfoltimento della truppa trasferita, vennero consegnate ai sopraggiunti reparti americani .

Va ricordato che per tutto il periodo dell’esistenza del T.L.T. gli americani continuarono ad usare per i loro campi estivi ed invernali, una base nel territorio di Valbruna nel Tarvisiano, mentre gli inglesi fecero uso per le loro attività addestrative, sempre di basi situate in Austria. Il territorio componente il T.L.T. sopravvisse sino alla data del 26 ottobre 1954, allorché con il Memorandum d’Intesa firmato a Londra il 5 ottobre dello stesso anno da tutti i governi interessati, Italia e Jugoslavia comprese, Trieste ed il resto della sua provincia vennero restituiti definitivamente all’Italia. Terminava così la presenza delle truppe Alleate nella Venezia Giulia dopo ben quasi dieci anni dalla fine del conflitto e veniva a concludersi uno dei periodi storici più difficili per le nostre popolazioni. I rapporti fra lo stato Italiano e la repubblica Jugoslava poterono finalmente ritornare alla normalità, le frontiere vennero aperte, e fra i due popoli confinanti poté iniziare il periodo della civile convivenza e della collaborazione che oggi tutti noi conosciamo. Non dobbiamo però dimenticarci che se è stato possibile realizzare tutto questo ed anche se i tempi necessari sono stati lunghi, lo dobbiamo proprio alla presenza sul nostro territorio di quei giovani militari, venuti da così lontano per farci conoscere la loro democrazia e per aiutarci a conquistare la nostra libertà.

Selvino Ceschia